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Il Festival

Dopo aver varcato i colli seguendo itinerari di contrabbando con Occit’amo 2022, la nuova edizione del festival delle Terre del Monviso vuole salpare per un nuovo viaggio, rotta: isole e montagne. Che si tratti di Mar Nostro o di Grande Aigo, il mare ha sempre fatto incontrare genti che a distanza di migliaia di chilometri hanno imparato a parlarsi e conoscersi. Dalla sardegna alla Scozia, dall’Irlanda alla Corsica, passando per la Sicilia. Ma, ancor più lontani, i ritmi sudamericani che provengono dal mare.

La formula del festival sarà quella che il pubblico ha imparato ad apprezzare e a fare propria, con una nuova attenzione al gusto e al saper raccontare attraverso i sapori. Un sabato da concerto, una domenica per danzare e gustare. Ancora, tanti momenti collaterali per passeggiare, osservare le albe, giocare nei laboratori, godere le Terre del Monviso.

Occit’amo sarà – insieme a Suoni dal Monviso – parte del ricchissimo programma musicale delle Terre del Monviso con Suoni delle terre del Monviso, cartellone eterogeneo capace di incontrare i pubblici più diversi, spaziando dall’identità all’innovazione, dal pop ai cori in vetta.

Nondimeno, anche in una prospettiva Agenda Onu 2030, temi quali il turismo, l’accessibilità con la Montagnaterapia e la sostenibilità (Occit’amo festival si fregia del marchio GRANDA GREEN ideato da Camera di Commercio Cuneo in collaborazione con Environment Park), saranno fulcro di un programma ricco, legato a spazi incontaminati, luoghi situati in paesaggi di grande bellezza, spesso raggiungibili solamente a piedi, o ancora che valorizzano emergenze architettoniche medievali, patrimonio delle Terre del Monviso oggi raccolto in una Guida che sarà strumento di scelta delle location e narrazione della storia locale. Non mancheranno, e come potrebbero, due momenti fondamentali del festival: le Aubada e i Passacharriera. Da un lato le “albe”, concerti sospesi che regalano un inizio di giornata emozionante e segnato dal sole che illumina angoli di vallate a volte sorprendenti. Dall’altro i chiassosi passaggi nei mercati di Città e frazioni. Momenti di una comunicazione trovadorica che elegge il rapporto e l’incontro, il passaparola, momento fondamentale della narrazione di un festival che vuole anche essere festa e incontro.

Occit’amo, infine, continua il suo percorso “giovane” attraverso due momenti principali: un Tavolo Under 30 chiamato già in fase di ideazione a confrontarsi e a proporre metodi, eventi, idee per progettare e innovare costantemente la manifestazione, e ancora il ricorso e la scoperta di tanti, ragazze e ragazzi, musicisti in erba e gruppi che vogliono fare strada.
Dalla Grande Orchestra Occitana, vera e propria palestra, agli ormai affermati Lou Pitakass, Sara Cesano e Roby Avena.

Il tema del Festival

Le Isole

Islas, terras autas e ental metz la mar. Isole, terre alte e in mezzo il mare.


Ci sono terre che conservano con ostinazione e tenacia la propria identità. Terre di libertà e verità, di differenza, di unicità.
Terre che hanno visto partire viaggiatori, mercanti, emigrati in tutto il corso della propria storia, nel continuo guardare fuori e dentro di chi è costretto a partire e non dimentica da dove arriva. Le nostre montagne occitane coi loro contrabbandieri, coi suonatori e i pastori della “rota”, la strada che si snoda al di là del confine artificiale che divide solo le acque e non gli uomini, con gli acciugai, i caviè.
Con quelli che sono partiti verso l’Occitania Grande e le Americhe e quelli che hanno dovuto fuggire le persecuzioni religiose. I Pirenei dei molti popoli: Baschi, Catalani, Aragonesi, Occitani. Un mosaico di convivenze antiche: quelli del Plan d’Arém, località in cui i rappresentanti delle diverse comunità sottoscrissero un trattato che li impegnava a mantenere buoni rapporti anche nel caso di guerra dichiarata dai rispettivi sovrani. L’Europa, quella vera, nasce lì.

I Pirenei della “guerre des demoiselles”, guerriglia contro Napoleone III messa in atto dai boscaioli, che combattevano travestiti da donna per non farsi riconoscere. I Pirenei della polifonia e degli innumerevoli strumenti a fiato, dei Branles e delle Planeradas. Poi il Massiccio Centrale, le sue Borreias, l’epopea dell’emigrazione alverniate a Parigi, quando una generazione di carbonai in esilio si inventò il “bal musette”. L’Auvernha dei liutai, delle ghironde e delle cornamuse che continuano a evocare i Maestri Suonatori di George Sand nei loro viaggi dai valloni della “Combralhas” alle ricche pianure della Francia propriamente detta.

In questa edizione di Occitamo le montagne occitane incontrano le isole. Se ci pensiamo bene quell’idea di distacco, di separazione che le terre circondate dal mare evocano fino alla sua definizione, espressa dal termine isolamento non si discosta molto da quello che le montagne hanno sempre rappresentato. Noi quassù e lontano c’è la pianura, da una parte e dall’altra. Come un mare da affrontare nei nostri viaggi di sempre, portandoci dietro una ghironda e una Correnta. Parte fondamentale del nostro “cheval d’orgueil”, come Andro e binjou nel capolavoro di Chabrol.
Isole e Terre Alte. Un incontro con la fiera alterità della Sardegna, altra nazione proibita all’interno dei confini statali italiani. La musica sarda è una miniera straordinaria di arcaica ricchezza. Strumenti come le launeddas, glorioso clarinetto policalamo, antico come l’aulos dei Greci e forse ancora di più, i flauti, l’organetto con cui vengono eseguite danze dai modi unici, la polifonia. Ma non solo tradizione antica, anche nuove forme espressive come il jazz di Paolo Fresu, idealmente ben collegato alla propria particolarità etnica. Poi una serie di incontri con diversi mondi insulari europei: la grande tradizione irlandese, così solida e complessa nella propria sterminata varietà da rappresentare una realtà unica nel folk mondiale. La Scozia, con la cornamusa più celebre e suonata sulla terra. Le Baleari dei nostri fratelli catalani, con il loro “sac de gemecs” (sacco di lamenti, una definizione di cornamusa ispirata a un’autoironia endemica di quelle parti).

Islas e terras autas, isole e terre alte. E in mezzo il mare. Il tema di quest’anno porta a Occitamo l’incontro tra realtà culturali che hanno in comune la fierezza delle loro particolarità; tutto un mondo di suoni e di atmosfere antichi e attuali, resistenti all’omologazione e alla banalità del mare piatto e scontato del presente main stream. Quella TALVERA tanto cara al grande Joan Bodon, lo spazio ai bordi del campo in cui I buoi si fermavano e giravano per continuare l’aratura.

Es sus la talvera qu’es la libertat/d’orièira en orièira pòrta la vertat/la vida t’espèra de cròs en valat/bolís la misera quand grana lo blat/es sus la talvera qu’es la libertat. È sulla talvera che sta la libertà/da un bordo all’altro porta la verità/la vita ti aspetta dai solchi del fossato:/ribolle la miseria quando il grano mette i frutti/è sulla talvera che sta la libertà.

La talvera, i margini troppo spesso dimenticati. È lì che possiamo trovare ancora vita, verità e libertà. La talvera delle terre alte, la talvera delle isole. E in mezzo il mare.

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